LA CARNE AL FORNELLO
Una perla della tradizione enogastronomica murgiana
Introduzione
Sono stati Francesco Biasi, lo straripante fiduciario della Condotta Slow Food Alberobello e Valle D’Itria, ed uno stuolo di entusiasti collaboratori (Giovanni Annese, Vincenzo Carrasso, Giancarlo Granaldi) a pensare “Carne Diem” e a metterlo in scena per trasmettere il fascino della terra murgiana e l’emozione che i suoi prodotti enogastronomici, semplici e antichi, sono in grado di suscitare.
Si sono avvalsi della preziosa collaborazione di un macellaio di Alberobello, Giuseppe Palasciano, un artista della carne, l’unico professionista della compagnia, ormai noto a livello nazionale dopo la partecipazione alla “Prova del cuoco” di Antonella Clerici e alla rubrica domenicale del Tg1 “Terra e sapori”.
L’ideatore dell’evento, dopo aver sperimentato questa formula fortunatissima nella zona murgiana, ha iniziato con le repliche prima in diverse parti della Puglia e poi col “Carne Diem Export” in ogni angolo d’Italia.
Per apprezzare autenticamente il fascino della tradizione pugliese del fornello, è importante sapere dove, quando e come essa nasce e quali ne sono le caratteristiche fondamentali.
La Murgia
E’ un territorio collinare che interessa parte delle province di Bari, Brindisi, Taranto e Matera e che richiama nel proprio nome la pietra calcarea, che è caratteristica di questo paesaggio.
La parte più caratteristica della Murgia è quella più elevata, la murgia carsica, che ricade prevalentemente nella provincia di Bari, e si trova ad un’altitudine compresa tra 300 e 650 metri e che è prevalentemente destinata al pascolo e alla coltivazione dei cereali. Nelle zone situate a minore altitudine si coltivano l’ulivo, il mandorlo e la vite da vino. Sono tipici di questo territorio i muretti a secco, vari tipi di trulli, le “lame” (alvei asciutti di torrenti), le “gravine” (profonde ed ampie fenditure del suolo scavate dal corso di fiumi ancestrali) e le grotte nel sottosuolo.
Tra i comuni più caratteristici della zona vi sono Acquaviva delle Fonti, Adelfia, Alberobello, Altamura, Casamassima, Cassano delle Murge, Castellana Grotte, Conversano, Gioia del Colle, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Locorotondo, Minervino Murge, Noci, Poggiorsini, Putignano, Rutigliano, Sammichele di Bari, Sannicandro di Bari, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto e Turi.
La tradizione della carne al fornello
Il fornello è un tipo di cottura della carne alla brace che ha certamente in Puglia radici molto antiche.
Probabilmente furono i Greci ad avviare questa usanza ed alcune preparazioni tradizionali risalgono a più di duemila anni fa.
Le preparazioni di carne da cuocere al fornello conobbero la loro evoluzione in tempi nei quali il consumo della carne non faceva parte dell’alimentazione quotidiana delle classi meno abbienti. Si mangiava carne solo nei giorni di festa. Per il fornello le carni maggiormente adoperate erano quella suina, ovina e, più raramente, quella caprina ed equina.
La carne bovina, almeno in Puglia, non veniva quasi mai impiegata a questo scopo. I bovini erano troppo preziosi come animali da lavoro. Anche il cavallo veniva macellato solo se si azzoppava, divenendo inutilizzabile per il trasporto.
La transumanza, pratica della transumanza pugliese, quando le greggi partivano dalla piana di Foggia per spostarsi in estate sino alle montagne d’Abruzzo (Maiella) e ritornavano in Puglia alla fine di settembre e difatti come recita il ritornello: “Se tu vuoi pecora bella – in estate sulla Maiella – e d’inverno a Panzanella”; nel foggiano appunto; sebbene la pratica della transumanza sia caduta in disuso negli anni Cinquanta, la tradizione del fornello si è fortunatamente mantenuta. Ossia la migrazione delle greggi che nel periodo invernale percorrendo i tratturi scendevano dall’Abruzzo per svernare nelle pianure pugliesi, ha, invece, rappresentato per secoli una fonte preziosa di ovini e caprini. Anche questi animali, però, erano destinati prevalentemente alla produzione di latte e lana, mentre erano utilizzati per alimentare il fornello quasi esclusivamente in occasione delle feste, e particolarmente nel periodo pasquale.
Vi era ovviamente la necessità di non sprecare nulla delle bestie che venivano macellate. Ciò ha portato ad utilizzare anche le parti meno nobili, le cosiddette frattaglie, facenti parte del cosiddetto quinto quarto. Vi sono frattaglie rosse (fegato, cuore, polmoni, reni o rognoni, milza, lingua), frattaglie bianche (cervello, midollo spinale, animelle da ghiandole salivari, timo e pancreas, trippa) e le coratelle.
I macellai delle zone murgiane propongono il fornello fin da epoche remote; inizialmente l’usanza nacque forse in margine a sacrifici religiosi di animali, che poi venivano arrostiti e mangiati o anche per non sprecare le parti usate per le attività divinatorie degli aruspici. Successivamente il fornello divenne un rito che alimentava la convivialità in occasione di alcune feste liturgiche cristiane e delle feste patronali.
In tempi più recenti, con il migliorare delle condizioni economiche l’uso tutto pugliese del “fornello pronto” si è esteso fino in modo incredibile, fino a divenire disponibile nelle numerosissime macellerie della zona quasi in tutti giorni della settimana. Questa usanza, così radicata nel territorio murgiano, non manca di impressionare i visitatori di altre regioni italiane e stranieri. Nel libro intitolato “Vino al vino” (1971), Mario Soldati si mostrava stupito per “…il curioso risalto e la straordinaria frequenza delle macellerie”. Annotava in proposito: “Ce n’è una ogni sei o sette case, una ogni cento passi: ciascuna sfolgora di luci e di candide piastrelle: ciascuna, accanto o sopra la porta, ha in bella mostra un grande avviso a lettere cubitali: FORNELLO PRONTO”.
Adesso come in passato, dopo la scelta e l’acquisto della carne, solitamente di seconda scelta, e la cottura su spiedi numerati, la degustazione avviene nel retrobottega della macelleria. In alternativa, la carne, ancora fumante, viene asportata per il consumo a casa: ed è davvero una grande e gustosa comodità!
I segreti della carne al fornello
Le preparazioni tradizionali di carne al fornello, un tempo destinate ai meno abbienti, perché ricavate da parti di scarto e meno nobili, sono oggi una prelibatezza da gourmet e da intenditori.
Occorre, però, una grande cura nella scelta degli ingredienti ed un’abilità sopraffina nella cottura.
Le frattaglie, incredibilmente gustose, succulente, saporite, invitanti ed appetitose, devono essere consumate freschissime perché possono facilmente alterarsi per azione di microrganismi, perdendo ogni fragranza.
La cottura deve essere estremamente attenta, condotta a regola d’arte, di breve durata e mai a fuoco diretto, ma con riverbero del calore, per evitare che la carne si cuocia in modo eccessivo; in tal caso, per fenomeni di parziale carbonizzazione, il sapore tenderebbe a virare verso l’amarognolo; la disidratazione della carne e la coagulazione delle proteine di superficie indurrebbero fenomeni di raggrinzimento e rinsecchimento, rendendo la carne dura e stopposa.
Se si riesce ad esaltarne le tipiche caratteristiche organolettiche, le preparazioni al fornello, già straordinariamente invitanti all’olfatto sì da far venire l’acquolina in bocca, danno immensa soddisfazione al gusto per la consistenza “carnosa”, la fantastica succulenza, l’appagante sapidità e l’armonia stuzzicante dei sapori.
Alcune preparazioni tradizionali
I modi di preparare la carne al fornello, di geniale semplicità, seguono alcuni motivi fondamentali, pur essendovi a volte variazioni sul tema da paese a paese, magari cambiando qualche ingrediente o la miscela delle carni.
Salsiccia grossa a punta di coltello
E’ una salsiccia ricavata da carne di maiale e da lardo dello stesso animale che vengono tagliati in piccoli pezzi con la punta di un coltello affilato, conditi con sale e pepe macinato e amalgamati con vino primitivo o, secondo altre usanze, con vino bianco. L’impasto viene insaccato in budelli di maiale, che vengono suddivisi ogni dieci centimetri circa con la legatura di spago sottile per formare i rocchetti.
Bombette
Sono fagottini di capocollo di maiale, che contengono formaggio pecorino, prezzemolo, sale e pepe. Con la cottura il formaggio tende a fondersi e a sigillare dall’interno la “pallina” di carne concentrandone il gusto all’interno. Messa sotto i denti, realmente sembra creare un’esplosione di sapori.
Zampina
E’ una salsiccia sottile ricavata ad Alberobello e comuni viciniori da carne mista di maiale e di vitello, che viene macinata a macchina, insaporita con pepe, sale basilico e pomodoro. Alcuni macellai usano amalgamare l’impasto con il vino bianco (verdeca).
A Sammichele di Bari si prepara con punta di petto o pancetta di bovino e pancetta di agnellone grasso, che vengono condite con formaggio di latte vaccino, prezzemolo e basilico triturati insieme con le carni, pelati di pomodoro (150 g per chilogrammo), pepe quanto basta e sale (12 g per chilogrammo).
A Gioia del Colle prende il nome di “zampino” e si confeziona con carne di giovani bovini, con l’aggiunta di pepe, peperoncini dolci e piccanti sminuzzati, prezzemolo, basilico, aglio, finocchio selvatico, pomodori in polpa e vino bianco. Alcuni usano aggiungere anche menta, capperi, funghi e cognac.
L’impasto viene finemente amalgamato e successivamente insaccato in budelle ovine precedentemente lavate con acqua e sale.
La zampina viene posta a scolare appesa ad un uncino metallico prima di essere cotta.
Solitamente viene arrostita a rotoli infilati uno ad uno negli spiedi e cotta alla brace.
Gnumerieddi
Il nome gnumerieddi o gnemerieddi o ghiummurridde viene dal latino “glomus”, che significa gomitolo. Vengono anche chiamati involtini o torcinelli, dal termine torcere, per indicare che vengono preparati mediante attorcigliamento.
Sono fatti da pezzetti di interiora (fegato, polmone, cuore, milza, coratella) di agnello, agnellone e capretto, conditi con prezzemolo, fasciati con la coratella e tenuti insieme dal budello avvolto a gomitolo dello stesso animale.
Le animelle
Sono bocconcini di timo di vitello, tenuti insieme dal budello di ovini. Si tratta di una rarità, dato che il timo ha un peso di 300-500 g nell’animale giovane, ma si atrofizza nell’adulto fino a scomparire.
Il gusto, delicatissimo, compiace per l’equilibrio tra la tendenza dolce, la misurata grassezza e la tendenza amarognola appena accennata unita a giusta sapidità.
L’enogastronomia murgiana
La Murgia ha radici contadine e pastorali ed i suoi prodotti più veri ne trasmettono lo spirito semplice e forte. Grano, olive, mandorle, legumi, verdure, ortaggi, funghi, latte, carni, frutta fresca e secca sono la base di partenza per una serie di prodotti rustici e genuini, che fanno da ingredienti ad gustosa cucina di terra, un tempo fatta di frugali piatti unici.
Gli elementi fondamentali di tale tradizione sono rappresentati da oli extravergini di oliva (D.O.P. Terra di Bari, sottozona Murgia dei Trulli e delle Grotte ottenuti principalmente dalla cultivar cima di Mola), pane (famosi i pani di Altamura D.O.P. e quello di Santeramo in Colle), pasta fresca o secca (orecchiette, cavatelli), focacce, taralli, legumi (fave, cicerchie, lenticchie, ceci, fagioli), verdure (cicorielle selvatiche, finocchietto selvatico), ortaggi (cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti), funghi (eccezionali i cardoncelli), latticini (ricotta, ricotta forte, fiordilatte, scamorza, manteca, burratine, fallone di Gravina, caciocavallo, formaggio pecorino), salumi (capocollo, soppressata, salame, ventresca), carni (specialmente animali da cortile, coniglio, agnello, pecora, capretto, maiale, cavallo, asino), frutta (ciliegie “ferrovia”, percochi di Turi).
Ne scaturiscono piatti semplici resi unici dalla fantasia e dalla creatività di generazioni di gente semplice abituata a valorizzare al meglio “quel che passa il convento”.
Solo per fare qualche cenno tra i primi, non si può fare a meno di parlare delle orecchiette con ragù di brasciole di cavallo, dei cavatelli con pomodorini e ceci bianchi e neri, dell’impanata, di grano e fagioli, delle cicorielle assize, della zuppa di funghi cardoncelli al pomodoro.
Tra i secondi, come non dire degli involtini di trippa (di vitello, di pecora o di capra) in umido, dell’agnello al forno con patate e lampascioni, del coniglio ripieno al forno, dell’agnello a cutturidde, della callaredda d’agnello, del marro e del calzone di ricotta forte e cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti.
Per i dolci, cibo sublime delle grandi occasioni e delle feste “terribili”, il pensiero va ai dolcetti di pasta di mandorle, alle cartellate al cotto di fichi o alla glassa di mela cotogna, ai “biscottini” (grossi taralli rivestiti di giulebbe), ai bocconotti, ai sospiri, alle zeppole di S. Giuseppe, alle castagnelle, ai sasaniedde, al calzone di ricotta e alla scarcella pasquale.
I vini della Murgia
La zona murgiana ha una vocazione antica per la vitivinicoltura e i suoi terreni collinari, prevalentemente di tipo calcareo-argilloso o siliceo-calcareo, sono ideali per la produzione di uve pregiate per vini di qualità.
I vitigni maggiormente utilizzati per i vini bianchi sono verdeca, bianco d’Alessano, fiano, greco, moscato bianco, malvasia banca e chardonnay; per i rosati e i rossi i vitigni di maggiore impiego sono primitivo, montepulciano, aglianico, sangiovese e aleatico.
Nell’area vi sono tre D.O.C.: “Gioia del Colle”, “Gravina” e “Locorotondo”; altri vini vengono prodotti come I.G.T.: “Murgia”, “Valle d’Itria” o “Puglia”.
La D.O.C. Gioia del Colle prevede la produzione di un bianco (da trebbiano ed altri vitigni), di un rosato, di un rosso (da primitivo, malvasia nera, montepulciano, sangiovese e negro amaro), di un primitivo (da uve primitivo al 100%), anche in versione riserva e di un aleatico dolce, anche in versione riserva e liquoroso.
La D.O.C. Gravina prevede esclusivamente la produzione di un bianco, in versione secco, amabile e spumante, da malvasia bianca lunga (40-65%), greco di Tufo e/o bianco d’Alessano (35-60%), bombino bianco e/o trebbiano toscano e/o verdeca max. 10%.
Anche nella D.O.C. Locorotondo è prevista solo la produzione di un bianco, anche nella tipologia spumante.
Il rosso e il primitivo della D.O.C. Gioia del Colle e diversi rossi prodotti come I.G.T. Murgia, Valle d’Itria e Puglia, per le loro caratteristiche di buona intensità gusto-olfattiva, di corposità, di considerevole alcolicità, di discreta morbidezza e di apprezzabile freschezza e tannicità si prestano perfettamente all’abbinamento con la carne cotta al fornello.
Giuseppe Baldassarre